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THE TERMINAL
(THE TERMINAL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 agosto 2004
 
di Steven Spielberg, con Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones, Stanley Tucci (Stati Uniti, 2004)
 
No, questo spezzone di cronaca (effettivamente accaduto ad un cittadino iraniano, bloccato all'aeroporto Charles de Gaulle per la perdita dei documenti ed il successivo rifiuto di abbandonare un rifugio che in definitiva gli conveniva) non è all'origine soltanto di una squisita commedia, spassosa, umana e pure intrigante; con il Tom Hanks più irresistibile, giusto e ammirevolmente qualunque dai tempi di FORREST GUMP. Le vicissitudini dello stralunato ma quanto saggio Viktor Navorski, sequestrato agli arrivi del JFK di New York perché un colpo di stato nel solito staterello dell'Est europeo dal quale proviene lo ha sistemato in un limbo legale dal quale non riesce più ad evadere non rispondono più di tanto alle regole sempre più insopportabili del marketing cinematografico. Poiché è ormai sempre evidente che lo Spielberg mitico specialista di avventure ad inseguimenti di squali ed autocarri metafisici, guerre crudelmente storiche o evasioni più prosaicamente avveniristiche sembra averci preso gusto, dopo il suo primo e già acuto PROVA A PRENDERMI, a destreggiarsi mirabilmente anche nella commedia.

Nel dramma agrodolce del soave Viktor che, guida Fodor alla mano non ci cava una parola di inglese e prende per buone tutte le avversità che gli si prospettano, un regista qualunque si sarebbe afflosciato sulla staticità e gli schemini della situazione. Al contrario, sulle ali degli attori diretti a meraviglia (persino l'idillio sospetto con la sempre più deliziosamente nevrotica Zeta-Jones riesce ad assumere parvenze originali e sensibili; e Stanley Tucci campa con facilità irrisoria il contraddittorio responsabile della sicurezza, costretto a cavalcare fobie e pragmatismi dell'immigrazione post 11 settembre) Spielberg imprime al film una scorrevolezza accattivante: meno si succedono avvenimenti grandiloquenti, più ci si addentra in un sentimentalismo a rischio, più l'attenzione e, perché no, l'emozione dello spettatore risultano coinvolte. Perché quello di Spielberg è un cinema felice, che rende felici. Senza mai rinunciare, come quello di Capra, di Chaplin o di Tati ai quali si pensa, a farci riflettere. Sulla natura umana come sull'attualità politica: “ Perché non dichiari di avere paura di ritornare fra i despoti del tuo Paese; cosi ci faciliti il processo di asilo”, suggerisce il capo della sicurezza. “Perché non ho paura; è il mio Paese” risponde il buon Navorski, ovviamente non proprio al corrente di Guerre Preventive. E, ancora: “ Perché non lo incitiamo a scappare, spalancandogli le porte? Cosi, saranno altri a doversi occuparsi di lui”, riflette ancora Stanley Tucci, con un concetto desolantememnte inedito del melting pot sul quale si è costruito il nuovo mondo. Più vicino alle fiabe degli inizi che ai monumenti epici del proseguio di carriera, il regista evita con consumata abilità la melassa insita nel tema: anche grazie alla sceneggiatura di Andrew Niccol che insinua utilmente certi risvolti kafkiani dell'encomiabile THE TRUMAN SHOW. Fantastica e si commuove nella luce dorata del suo divertissement high tech: ma non dimentica di azzannare la squallida mediocrità dell'America di Bush.

All'interno del proprio affascinante contenitore spaziale (il terminal - crogiolo di tutte le contraddizioni USA - ricostruito in studio) Spielberg si muove con la sapienza di una organizzazione registica che solo trova confronti nella divertita umanità del proprio sguardo. Ma perchè meravigliarsi? Viktor Navoroski non è altro che un ennesimo E.T.: uno ancora dei suoi extraterrestri di favola, cosi banalmente buoni ed illusi, eternamente fanciulli e quindi nemmeno improbabili. Capaci di rifiutare l'assurdità e la cattiveria del quotidiano in nome del sogno, della meraviglia. E pure della lucidità.


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